Mostre virtuali immersive, in Francia diventano “di Stato” mentre in Italia si va a rilento: perché sono già il futuro (e non c’entra solo la pandemia).
Spesso vengono chiamate “esperienze” e all’estero sono già molto usate. E i numeri lo testimoniano: le quattro aziende più virtuose hanno realizzato un fatturato che sfiora il mezzo miliardo di euro. Anche nel nostro Paese qualcosa si muove, ma il ministero per i beni e le attività culturali, almeno per ora, non sembra intenzionato a investirci.
La sorpresa è arrivata il giorno della Befana. Lo scorso 6 gennaio la Francia ha annunciato che le mostre immersive virtuali divengono un affare di Stato, perché a produrle sarà la Réunion des Musées Nationaux et du Grand Palais, società pubblica a carattere industriale e commerciale, dotata di autonomia finanziaria. La Rmn – Grand Palais oggi gestisce in Francia 34 musei (tra i quali il Louvre, il Rodin e il museo d’Orsay), ma nonostante ciò scommette su un futuro immersivo e virtuale fatto di grandi mostre, di immagini ed emozioni, per il quale c’è chi è disposto a fare la fila proprio come se si trattasse di un museo o di una galleria dove poter ammirare opere reali.
E l’Italia? Il ministero per i Beni e le attività culturali e per il Turismo sta pensando di assumere decisioni simili a quelle di Rmn – Grand Palais? Da fonti vicine al ministro per i Beni e le attività culturali, Dario Franceschini, si apprende che l’ipotesi pare abbastanza improbabile, nonostante l’attuale Direttore Generale dei Musei, Massimo Osanna, stia seguendo con interesse la vicenda, abbia frequenti incontri con docenti universitari e esperti e riceva tanti progetti in tal senso. Sui siti web di vari musei statali non mancano mostre digitali virtuali, anche perché i lunghi periodi di chiusura hanno creato un “bisogno” di cultura solo parzialmente soddisfatto da queste soluzioni virtuali, ma evidentemente non si può parlare di “esperienze immersive”, che sono tutt’altro.
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